
Bruzzi Stefano
Piacenza, 1835 - Piacenza, 1911
"Il gregge nel bosco"
Olio su tela, cm 74x42
Firmato in basso a destra: "S. Bruzzi".
Databile: 1895 circa
Bibliografia
Catalogo Bolaffi, Ottocento, n.12, p.120, 1983; AA.VV., Stefano Bruzzi, catalogo ragionato, n.295, tav.127, pag.172, Edizioni Tip.Le.Co., 2000; G. Marini, Il valore dei dipinti dell' Ottocento e del primo Novecento, Allemandi, 2004.
L’intera opera di Stefano Bruzzi ha come tema pressoché costante la vita rurale, con una circoscrizione anche geografica dei luoghi. Tale fedeltà è dovuta al fatto che il paesaggio della sua regione e la vita agreste della sua gioventù finirono col rappresentare il principale motivo ispiratore di tutta la sua arte. Come affermava Gianfranco Bruno: “…ad essi Bruzzi fece sempre riferimento nella vita come nella pittura…”. Pur rinunciando a suggestioni letterarie, di cui la cultura italiana di fine secolo era ricchissima, non va dimenticato come il nostro grande artista piacentino seppe utilizzare originalmente: sia il luminoso naturalismo palizziano, che la lezione del paesismo di Costa, oltre ad una profonda meditazione delle suggestioni derivanti dall’arte di Böcklin. Magistrale, infine, l’equilibrio compositivo in quasi tutta la sua produzione in cui le figure di contadini, di pastori e animali si collocano con pacata naturalezza nel paesaggio. La luce pervade il tessuto della materia pittorica e asseconda quella fusione tra figure e ambiente che è motivo di fondo della poetica del Bruzzi. Sempre secondo le parole di Gianfranco Bruno: “…il silenzio innato della natura accompagna gli agresti accadimenti e ad essi conferisce solennità profonda. C’è un senso dell’ora e della stagione nei dipinti del Bruzzi, dovuto all’assoluta giustezza dei toni e al loro rendere le più infinite variazioni della luce sui campi…”. Al nostro dipinto va conferito il merito di essere un lavoro molto interessante della sua maturità artistica nel quale, oltre ad essere riprodotto e rispettato appieno il colore locale “...vi si respira il profumo dei prati e pare quasi di sentirvi il lieve brusio dei passi degli armenti...”. L’artista, evitate le facili luci d’effetto, crea una magistrale sinfonia di preziosi e suggestivi chiaroscuri, dove traspare in modo più che evidente: un mistico colloquio con la natura, sublimato da una dolce malinconia da cui affiora un georgico senso di pace serena. Ormai il significato della macchia è pienamente compreso dal nostro grande artista, tanto da essere rielaborato, in modo personalissimo, con leggeri impasti impregnati di intima poesia. Infatti, è una pittura che si va facendo più magra, che risulta tutta tesa verso emozioni e valori opposti a una società che ignora e deride le meditazioni solitarie e feconde. E’ la più chiara delle dimostrazioni di una precisa volontà di penetrare a fondo il soggetto preso dal “vero”, il quale, pur essendo umile, si dimostra impregnato di grande idealità. E. Motta

