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Gozzi Marco

San Giovanni Bianco, BG, 1759 - Milano, 1839

"Ponte di Creola sulla strada del Sempione (Ponte di Crevola)"

Olio su tela, cm 36x46.5
Databile: 1821 circa

E’ noto che Marco Gozzi, pur costituendo un imprescindibile punto di riferimento nell’evoluzione della pittura di paesaggio in Lombardia e in particolare di quella milanese, per aver trascorso nella città ambrosiana più di metà della sua vita, non arrivò mai ad ottenere da Brera l’istituzione di una cattedra relativa alla pittura di paesaggio che fu inserita tra le scuole di pittura dell’Accademia braidense soltanto nel 1838, un anno prima della morte del pittore e fu assegnata a Giuseppe Bisi. E’ uno di quei casi in cui la pratica e l’evoluzione innovativa del genere pittorico ne precedettero il riconoscimento accademico. D’altra parte, Gozzi ebbe il privilegio, pressoché unico fra gli artisti milanesi della sua epoca, di essere legato al Viceré Eugenio di Beauharnais dalla stipulazione di un contratto che dal 26 settembre 1807 gli assegnava una pensione governativa di L. 1.500 per la produzione di “tre quadri di paese” ogni anno. Come è noto, tale impegno fu mantenuto e rinnovato anche dal successivo governo austriaco, dal 1812 fino alla morte dell’artista. A questo suo ruolo di “pittore di stato” e alla conseguente connessione di arte e politica, deve essere senz’altro ascritto il progressivo interesse del Gozzi per la concezione della pittura di paesaggio come fedele trascrizione del vero naturale, avvertibile già da La fonderia di cannoni a Caionvico (1809), oggi posseduta dalla Pinacoteca di Brera. Ciò comporta l’abbandono graduale del gusto settecentesco per il modello arcadico del paesaggio e una sempre più accentuata inclinazione ad una rappresentazione veritiera della realtà. Anche se l’incarico avuto dal Gozzi dovrebbe sottolineare principalmente le opere civili, realizzate prima dal governo francese e poi da quello austriaco, è inevitabile che la richiesta di una documentazione veritiera della visione reale, imprima una svolta radicale e irreversibile alla rappresentazione del mondo esterno senza distinzione fra restituzione del paesaggio naturale e documentazione del progresso tecnico. L’inquadramento della veduta che d’ora in avanti rinuncerà ad incorniciature decorative e a quinte prospettiche così come all’invenzione di panorami fantastici e irreali, costituisce una tappa fondamentale verso la grande stagione del naturalismo lombardo che raggiungerà la sua affermazione più matura nella seconda metà del secolo XIX, ma che non sarebbe stato possibile senza l’attività pionieristica di un Giovanni Migliara che scomparirà nel 1837, di un Giuseppe Canella che vivrà fino al 1847 e del nostro Marco Gozzi che sopravvivrà di un solo anno all’istituzione di quella cattedra di paesaggio, tanto desiderata, all’Accademia di Brera. Il ponte di Creola deve naturalmente essere messo a confronto, come molti altri dipinti di Marco Gozzi eseguiti su soggetti realmente esistenti per le commissioni governative, con l’opera di maggiori dimensioni (cm 78 x 115), Il ponte di Creola sulla strada del Sempione (Ponte di Crevola), firmato in basso al centro “Gozzi p.”. Deve essere segnalato che si tratta di un dipinto dedicato ad un’opera di ingegneria estremamente ardita e tecnicamente difficile che, come è stato documentato dalla scheda che ha accompagnato il dipinto posseduto da Brera nella recente esposizione (La Sala dei Paesaggi 1817 1822, catalogo della mostra a cura di I. Marelli, Milano 2009, p. 86), è stata ampiamente ricordata dalle guide turistiche nel corso dell’800. A nostro avviso non sarebbe tuttavia corretto considerare il dipinto di minore dimensione come un bozzetto preparatorio all’opera di misure più ampie. Occorre anzi avere presente che, mentre il nostro dipinto deve essere stato eseguito in larga parte direttamente dal vero, questo non è certo il caso del dipinto più grande consegnato a Brera. Il modelletto presenta comunque poche varianti rispetto alla versione definitiva che è soltanto un po’ più ricca nella vegetazione, più precisa nell’esecuzione del profilo dei monti e nella varietà delle sfumature tonali che ne scandiscono le profondità, con l’aggiunta di qualche figurina e di qualche attrezzo. Certo il modelletto ha l’indubbio vantaggio, rispetto al gusto moderno, di una maggiore scioltezza e spontaneità che mettono in grande rilievo l’abilità ormai consolidata del Gozzi nel dipingere dal vero, dopo aver abbandonato da circa un decennio i prototipi settecenteschi ed aver arricchito la propria conoscenza della pittura di paesaggio con i viaggi a Roma, a Napoli e nelle Marche fra il 1812 e il 1813. La più accentuata essenzialità e scioltezza del nostro dipinto di piccola dimensione offre certamente maggiore risalto alla straordinaria modernità della rappresentazione di esterno realizzata dal Gozzi sia nell’impianto prospettico, sia nella scelta delle luci, sia infine nella distribuzione dei volumi. La Quadreria dell’800 ha più volte ritrovato quelle che potremmo definire “prime versioni” delle opere di Gozzi eseguite su mandato governativo e in tutte sono state verificate le caratteristiche che abbiamo sopra descritto e che confermano il ruolo pionieristico del pittore bergamasco nel panorama europeo della pittura di paesaggio dell’800, capace di precedere le stesse conquiste atmosferiche dei pittori austriaci di esterni quali Mössner e Rebell, coniugando felicemente sensibilità romantica e nascente naturalismo. E. Motta

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