Per celebrare i 1600 anni della città di Venezia, la cui fondazione è stata
tradizionalmente fissata al 25 marzo dell’anno 421, Mets Percorsi d’arte, la
Fondazione Castello e il Comune di Novara propongono dal 30 ottobre 2021 al 13
marzo 2022 la bella mostra Il mito di Venezia. Da Hayez alla Biennale, curata da
Elisabetta Chiodini con un prestigioso Comitato scientifico diretto da Fernando
Mazzocca di cui fanno parte Elena Di Raddo, Anna Mazzanti, Paul Nicholls,
Paolo Serafini e Alessandra Tiddia.
L’esposizione ha ricevuto l’approvazione del Comitato di Indirizzo Venezia 1600 e
fa parte delle manifestazioni legate alla grande mostra a Palazzo Ducale.
Punto di partenza del percorso espositivo sono le opere di alcuni dei più grandi
maestri che hanno operato nella città lagunare nel corso dei primi decenni
dell’Ottocento influenzando significativamente con il loro insegnamento e i loro
lavori lo svolgersi della pittura veneziana nella seconda metà del secolo, vera
protagonista della rassegna.
Settanta opere divise in otto sale nella splendida cornice del Castello
Visconteo di Novara per raccontare il mito della città lagunare. Partendo dal
grande Hayez attraverso una ricca selezione delle opere più importanti - e
spesso mai viste perché provenienti da prestigiose collezioni private - dei più
noti artisti italiani della seconda metà dell’Ottocento.
La prima sala è dunque dedicata alla pittura di storia, considerato il “genere” più
nobile della pittura, vi troviamo quattro importanti lavori di Francesco Hayez
(1791-1882), tra cui lo splendido Venere che scherza con due colombe (1830),
Ritratto di Gentildonna (1835) e l’imponente Prete Orlando da Parma inviato di Arrigo
IV di Germania e difeso da Gregorio VII contro il giusto sdegno del sinodo romano
(1857); accanto ad essi opere di Ludovico Lipparini (1800-1856) e Michelangelo
Grigoletti (1801-1870), artisti di rilievo nonché figure chiave nella formazione di
autori di spessore della generazione successiva, anch’essi presenti in mostra, quali
Marino Pompeo Molmenti (1819-1894) e Antonio Zona (1814-1892).
Nella seconda sala sono esposti quegli autori, veneziani e non, che più di altri
hanno contribuito via via alla trasformazione del genere della veduta in
quello del paesaggio: tra questi il grande pittore Ippolito Caffi (1809-1866) con
due splendide vedute veneziane: Festa notturna a San Pietro di Castello (1841 circa) e
Venezia Palazzo Ducale (1858), Giuseppe Canella (1788-1847), Federico Moja
(1802-1885) e Domenico Bresolin (1813-1899), quest’ultimo tra i primissimi ad
interessarsi anche di fotografia e già nel 1854 indicato tra i soci dell’Accademia come
“pittore paesista e fotografo”. Titolare dal 1864 della cattedra di Paesaggio, Bresolin fu
il primo a condurre i giovani allievi a dipingere all’aperto, in laguna come
nell’entroterra, affinché potessero studiare gli effetti di luce e confrontarsi sulla resa
del vero in un ambiente nuovo e stimolante, diverso da quello cui erano abituati, per
di più, codificato dai grandi vedutisti del passato. Tra loro si ricordano Gugliemo
Ciardi (1842-1917), Giacomo Favretto (1849-1887), Luigi Nono (1850-1918),
Alessandro Milesi (1856-1945) e Ettore Tito (1859-1941), protagonisti della
mostra.
La terza sala è dedicata ad uno dei più valenti e amati paesaggisti veneti,
Guglielmo Ciardi, del quale sono esposte dodici opere che, come in una sorta di
piccola esposizione monografica, partendo dagli anni sessanta dell’Ottocento
documentano l’evoluzione della sua pittura fino ai primi anni novanta. Sua la
magnifica Veduta della laguna veneziana (1882), immagine della mostra e altre
splendide tele ambientate nei dintorni di Venezia o scorci della città come il bellissimo
olio Mercato a Badoere (1873 circa).
Nelle sale a seguire troviamo incantevoli opere che hanno per tema la vita
quotidiana, gli affetti e la famiglia dedicate alla “pittura del vero”: come Il bagno
(1884) di Giacomo Favretto; Alle Zattere (1888) di Pietro Fragiacomo; Mattino
della domenica (1893 circa) e La signorina Pegolo (1881) di Luigi Nono; Girotondo
(1886) di Ettore Tito. Sul mondo del lavoro scorrono altre opere vivaci e ricche di
dettagli con protagonisti contadini, lavandaie, raccoglitrici di riso, venditori di animali,
sagre e mercati, come La raccolta del riso nelle terre del basso veronese (1878) e Il
mercato di Campo San Polo a Venezia in giorno di sabato (1882-1883) di Giacomo
Favretto; il malinconico paesaggio Verso sera presso Polcenigo (Friuli) (1873) di
Luigi Nono; Lavandaie sul Garda (1888) e Raggi di sole ((1892) di Ettore Tito.
E per chiudere questa triplice sezione di vita quotidiana alcune tele dedicate agli
idilli amorosi, un soggetto a metà strada tra il genere e il vero molto amato e
frequentato dai pittori del secondo Ottocento: al bellissimo Idillio (1884) di Luigi
Nono, si aggiungono tele con indimenticabili figure di giovani fidanzati e sposi di
Favretto, Tito, e di Alessando Milesi con un altro Idillio (1882 circa) e
Corteggiamento al mercato (1887 circa).
La settima sala è interamente dedicata a Luigi Nono e offre un focus su una delle
opere più celebri del pittore, il Refugium peccatorum. Oltre alle redazioni del 1881 e
del 1883, grandi tele condotte ad olio, sono esposti studi, disegni ed altre significative
opere di confronto, come Le due madri (1886).
L’ottava e ultima sala della mostra è invece dedicata alle opere realizzate dai
medesimi artisti tra la fine degli anni novanta dell’Ottocento e i primi anni del
Novecento, tele di ampio respiro che riflettono il rinnovamento e il
cambiamento di gusto indotti nella pittura veneziana dal confronto diretto con la
cultura figurativa dei numerosi pittori stranieri che partecipavano alle nostre Biennali
Internazionali d’Arte. Spiccano Il Bucintoro (1902-1903 circa) di Guglielmo Ciardi;
Visione antica (1901) di Cesare Laurenti; Luglio (1894) e Biancheria al vento (1901
circa) di Ettore Tito.
Una mostra dunque ricca di opere importanti e di grande bellezza con un percorso
molto godibile che racconta Venezia e l’evolversi della pittura italiana dalla metà alla
fine dell’Ottocento, verso i fermenti che caratterizzeranno i primi del Novecento.
Per celebrare i 1600 anni della città di Venezia, la cui fondazione è stata
tradizionalmente fissata al 25 marzo dell’anno 421, Mets Percorsi d’arte, la
Fondazione Castello e il Comune di Novara propongono dal 30 ottobre 2021 al 13
marzo 2022 la bella mostra Il mito di Venezia. Da Hayez alla Biennale, curata da
Elisabetta Chiodini con un prestigioso Comitato scientifico diretto da Fernando
Mazzocca di cui fanno parte Elena Di Raddo, Anna Mazzanti, Paul Nicholls,
Paolo Serafini e Alessandra Tiddia.
L’esposizione ha ricevuto l’approvazione del Comitato di Indirizzo Venezia 1600 e
fa parte delle manifestazioni legate alla grande mostra a Palazzo Ducale.
Punto di partenza del percorso espositivo sono le opere di alcuni dei più grandi
maestri che hanno operato nella città lagunare nel corso dei primi decenni
dell’Ottocento influenzando significativamente con il loro insegnamento e i loro
lavori lo svolgersi della pittura veneziana nella seconda metà del secolo, vera
protagonista della rassegna.
Settanta opere divise in otto sale nella splendida cornice del Castello
Visconteo di Novara per raccontare il mito della città lagunare. Partendo dal
grande Hayez attraverso una ricca selezione delle opere più importanti - e
spesso mai viste perché provenienti da prestigiose collezioni private - dei più
noti artisti italiani della seconda metà dell’Ottocento.
La prima sala è dunque dedicata alla pittura di storia, considerato il “genere” più
nobile della pittura, vi troviamo quattro importanti lavori di Francesco Hayez
(1791-1882), tra cui lo splendido Venere che scherza con due colombe (1830),
Ritratto di Gentildonna (1835) e l’imponente Prete Orlando da Parma inviato di Arrigo
IV di Germania e difeso da Gregorio VII contro il giusto sdegno del sinodo romano
(1857); accanto ad essi opere di Ludovico Lipparini (1800-1856) e Michelangelo
Grigoletti (1801-1870), artisti di rilievo nonché figure chiave nella formazione di
autori di spessore della generazione successiva, anch’essi presenti in mostra, quali
Marino Pompeo Molmenti (1819-1894) e Antonio Zona (1814-1892).
Nella seconda sala sono esposti quegli autori, veneziani e non, che più di altri
hanno contribuito via via alla trasformazione del genere della veduta in
quello del paesaggio: tra questi il grande pittore Ippolito Caffi (1809-1866) con
due splendide vedute veneziane: Festa notturna a San Pietro di Castello (1841 circa) e
Venezia Palazzo Ducale (1858), Giuseppe Canella (1788-1847), Federico Moja
(1802-1885) e Domenico Bresolin (1813-1899), quest’ultimo tra i primissimi ad
interessarsi anche di fotografia e già nel 1854 indicato tra i soci dell’Accademia come
“pittore paesista e fotografo”. Titolare dal 1864 della cattedra di Paesaggio, Bresolin fu
il primo a condurre i giovani allievi a dipingere all’aperto, in laguna come
nell’entroterra, affinché potessero studiare gli effetti di luce e confrontarsi sulla resa
del vero in un ambiente nuovo e stimolante, diverso da quello cui erano abituati, per
di più, codificato dai grandi vedutisti del passato. Tra loro si ricordano Gugliemo
Ciardi (1842-1917), Giacomo Favretto (1849-1887), Luigi Nono (1850-1918),
Alessandro Milesi (1856-1945) e Ettore Tito (1859-1941), protagonisti della
mostra.
La terza sala è dedicata ad uno dei più valenti e amati paesaggisti veneti,
Guglielmo Ciardi, del quale sono esposte dodici opere che, come in una sorta di
piccola esposizione monografica, partendo dagli anni sessanta dell’Ottocento
documentano l’evoluzione della sua pittura fino ai primi anni novanta. Sua la
magnifica Veduta della laguna veneziana (1882), immagine della mostra e altre
splendide tele ambientate nei dintorni di Venezia o scorci della città come il bellissimo
olio Mercato a Badoere (1873 circa).
Nelle sale a seguire troviamo incantevoli opere che hanno per tema la vita
quotidiana, gli affetti e la famiglia dedicate alla “pittura del vero”: come Il bagno
(1884) di Giacomo Favretto; Alle Zattere (1888) di Pietro Fragiacomo; Mattino
della domenica (1893 circa) e La signorina Pegolo (1881) di Luigi Nono; Girotondo
(1886) di Ettore Tito. Sul mondo del lavoro scorrono altre opere vivaci e ricche di
dettagli con protagonisti contadini, lavandaie, raccoglitrici di riso, venditori di animali,
sagre e mercati, come La raccolta del riso nelle terre del basso veronese (1878) e Il
mercato di Campo San Polo a Venezia in giorno di sabato (1882-1883) di Giacomo
Favretto; il malinconico paesaggio Verso sera presso Polcenigo (Friuli) (1873) di
Luigi Nono; Lavandaie sul Garda (1888) e Raggi di sole ((1892) di Ettore Tito.
E per chiudere questa triplice sezione di vita quotidiana alcune tele dedicate agli
idilli amorosi, un soggetto a metà strada tra il genere e il vero molto amato e
frequentato dai pittori del secondo Ottocento: al bellissimo Idillio (1884) di Luigi
Nono, si aggiungono tele con indimenticabili figure di giovani fidanzati e sposi di
Favretto, Tito, e di Alessando Milesi con un altro Idillio (1882 circa) e
Corteggiamento al mercato (1887 circa).
La settima sala è interamente dedicata a Luigi Nono e offre un focus su una delle
opere più celebri del pittore, il Refugium peccatorum. Oltre alle redazioni del 1881 e
del 1883, grandi tele condotte ad olio, sono esposti studi, disegni ed altre significative
opere di confronto, come Le due madri (1886).
L’ottava e ultima sala della mostra è invece dedicata alle opere realizzate dai
medesimi artisti tra la fine degli anni novanta dell’Ottocento e i primi anni del
Novecento, tele di ampio respiro che riflettono il rinnovamento e il
cambiamento di gusto indotti nella pittura veneziana dal confronto diretto con la
cultura figurativa dei numerosi pittori stranieri che partecipavano alle nostre Biennali
Internazionali d’Arte. Spiccano Il Bucintoro (1902-1903 circa) di Guglielmo Ciardi;
Visione antica (1901) di Cesare Laurenti; Luglio (1894) e Biancheria al vento (1901
circa) di Ettore Tito.
Una mostra dunque ricca di opere importanti e di grande bellezza con un percorso
molto godibile che racconta Venezia e l’evolversi della pittura italiana dalla metà alla
fine dell’Ottocento, verso i fermenti che caratterizzeranno i primi del Novecento.
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