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Carnovali Giovanni, detto Il Piccio

Montegrino Valtravaglia, VA, 1804 - Cremona, 1873

"Il ripudio di Agar"

Olio su tela, cm 78x104
Firmato e datato in basso a destra: “Piccio 1841”.
Datato: 1841

Provenienza

Collezione Radice-Fossati.

Bibliografia

Gerli, 1940, pp. 79-80; Raccolta Prada-Fraizzoli, 1961, tav. 11; Valsecchi-Rossi, 1974, n.18; Catalogo ragionato, 1998, Pierluigi De Vecchi, n.66, pag.147.

Esposizioni

1974, Il Piccio e artisti bergamaschi del suo tempo, Bergamo (Palazzo della Ragione), n.18.

L’opera in questione Il ripudio di Agar, di Giovanni Carnovali detto il Piccio, rappresenta un magistrale esempio di quel tipo di pittura “storico-religioso” che, in Lombardia, fra gli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo, andava sempre più ambientandosi secondo i canoni dettati dalla pittura romantica di storia. Ad una prima osservazione, il dipinto si potrebbe annoverare fra i più alti esiti di un artista che ha pienamente condiviso la cosiddetta scuola “hayeziana” di soggetto biblico, sviluppatasi, specialmente in ambito culturale lombardo, col venir meno di un certo qual interesse sui temi storici che potevano alludere alle tante tensioni politiche venute a crearsi in tutta Italia agli inizi dell’Ottocento. Puntuale, infatti, appare la minuziosa cura adottata per la fine e perfetta rappresentazione sia degli abiti, come pure degli stessi principali interpreti della scena, quest’ultima resa particolarmente languida da un’evidente suggestione venuta a crearsi a causa di ciò che sta accadendo. Se però proviamo ad addentrarci nell’approfondita analisi di un famoso ed eccezionale dipinto di Francesco Hayez: L’incontro di Giacobbe con Esaù, del 1844, e lo mettiamo a confronto con il nostro capolavoro: Il ripudio di Agar, fra l’altro datato 1841, dunque eseguito qualche anno prima di quello di Hayez, dato anche questo non trascurabile, capiamo come il Carnovali abbia ormai innovato, per non dire superato, l’insegnamento del grande maestro braidense. Infatti, ben più moderna, oltre che dotata di grande personalità, appare la stesura del colore operata dal Piccio, decisamente più vivida e marcata nei confronti della tavolozza di Hayez, quest’ultima ancora influenzata da un certo qual languore dei toni, troppo legati a settecenteschi ricordi di chiara sembianza tiepolesca. La stessa intensità della rappresentazione, obbiettivamente, risulta più marcata, oltre ad essere più veritiera, tanto da apparire quale logica ed intelligente evoluzione del modo di fare di due grandi precursori della pittura europea di fine sette e primo ottocento, quali Rembrandt e De Lacroix. E’ possibile poi notare una reale vicinanza paesaggistica con il momento della rappresentazione dell’opera, tanto da avvertire, quell’insorgente, di lì a poco, voglia dei naturalisti di dover ammirare la natura: vista e compresa “en plein air”. Il paesaggio dunque, risulta parte integrante, perciò sintomatico del dipinto, al punto tale da intenderlo addirittura con evidenti significati sentimentali di chiara derivazione Manzoniana, la mente più fertile di tutto l’ottocento italiano, che, per primo aveva inteso un tramonto, non più come un triste accadimento naturalistico, ma bensì come la speranza di un nuovo giorno migliore, cioè di una nuova vita; e così sarà anche in pittura per tutto quanto l’ottocento. Siamo dunque agli albori di un rinnovato modo di concepire l’arte pittorica, che, in seguito, darà vita alle più importanti istanze culturali in ambito artistico milanese e non solo, come per esempio la Scapigliatura di Tranquillo Cremona ed il susseguente Simbolismo di Giovanni Segantini e Gaetano Previati; infatti, a nostro modesto ma pur fermo parere, sarà proprio questo dipinto ad aprire il lungo e sofferto cammino che porterà il Piccio a realizzare uno dei suoi capolavori assoluti: Agar nel deserto. Risulta perciò doveroso, aver operato un debito distinguo fra l’impareggiabile opera in questione e quella, pur grande, realizzata dall’Hayez, che ci permette di focalizzare, ora come allora, e proprio come andava asserendo Giacomo Trècourt, i “guasti” provocati dalla critica nei confronti dell’arte di Giovanni Carnovali. Purtroppo, ancor oggi si dimostra veramente insopportabile l’arrogante ignoranza di chi, di certo, non si è messo nelle condizioni di poter capire fino in fondo quanto sia stata importante ed epocale l’evoluzione dell’arte pittorica di Giovanni Carnovali, non solo, ma di cosa veramente significhi il perseguire una seria riscoperta di questo grande artista, di certo condotta solo ed esclusivamente attraverso una ricerca dettata da una profonda onestà intellettuale, e di conseguenza sterilizzata da stupide documentazioni storiche, tratte da miserrimi chiacchiericci, come al solito riportati dalle sempiterne e squallide “serve di messa prima”, insuperabili maestre di delazione in ogni ambito della tradizione di questo paese. Proprio con: Agar nel deserto, ha inizio in Italia, un nuovo modo di concepire un’opera d’arte, assolutamente libero e ribelle; infatti il fare del Carnovali, ai più sembrerà alquanto rozzo per non dire incompiuto, al punto da ritenerlo, erroneamente, contrario a qualsiasi regola canonica della pittura. Tutti i dettami di una verità solo apparente, che fino a quel momento si erano dimostrati di fondamentale importanza, non lo saranno più; per cui, la ricerca del dettaglio, unita ad una certa qual stucchevole raffinatezza, lascerà il posto a capacità più espressive, che in seguito, sapranno trasformarsi nelle muse ispiratrici del Simbolismo. L’attenta disamina di: Agar nel deserto, lo fa dunque apparire, come la più logica delle conseguenze derivanti da: Il ripudio di Agar, e ci permette di capire appieno la magistrale e soprattutto innovativa lezione d’arte del Piccio, proprio a cominciare dalla desolante rappresentazione del paesaggio desertico, oltretutto dipinto in modo alquanto sfatto a significare un chiaro sintomo di decadenza della società. Se in questo caso la rappresentazione risulta ormai fondamentalmente simbolica, nel Ripudio di Agar gli atavici e purtroppo ancora attuali mali dell’uomo, vengono chiaramente rappresentati dalla contratta e livida espressione di gelosia di Sara nei confronti di Agar e del figlio Ismaele, lo stesso gregge dipinto in modo sfatto, appare emblematico nella rappresentazione di ciò che oggi risulta il male del secolo, cioè l’indifferenza; e a questo punto possiamo seriamente pensare come e quanto il capolavoro di Pellizza Da Volpedo: E così fan tutte abbia tratto grande ispirazione dal dipinto del Carnovali. Lo stesso Ismaele, anche lui accennato in modo sommario, ci appare stremato dalla sete, quasi moribondo, in quanto privo di qualsiasi “fonte” di saggezza, chiara risulta essere l’allusione alla mancanza di fede di Ismaele, dovuta alla giovane età, perciò non ancora entrato in quella fase della vita dove ci si abbevera al pozzo dell’apprendimento. Solo Agar, sorretta da una convinta speranza nei confronti della misericordia di Dio, appare finemente dipinta in tutto il suo giovanile splendore, chiara conseguenza di un’incrollabile fede che ci viene confermata attraverso la mistica rappresentazione del suo volto, e ulteriormente testimoniata attraverso l’intenso sguardo degli occhi rivolti al cielo in fervida preghiera. Il potere dell’evocazione emotiva, proprio a partire da: Il ripudio di Agar, per poi proseguire con l’Agar nel deserto e il Gesù salvato dalle acque, via via andrà sempre più sviluppandosi, fino ad accostarsi alle poetiche simboliste del Realismo Sociale che, a fine secolo, si diffonderanno in tutta Europa con il nobile ed intelligente scopo di denunciare l’urgenza della questione sociale. Emanuele Motta

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