Inganni Angelo
Brescia, 1807 - Gussago, BS, 1880
"Il Naviglio di Via Vittoria con il ponte di Via Olocati e la Chiesa di Santa Maria della Vittoria, Milano"
Olio su tela, cm 73x90
Firmato e datato in basso a destra: “A. Inganni, 1852”.
Datato: 1852
La vecchia Milano, e non solo, da quella Monumentale fino a quella dei Navigli, come pure gli antichi scorci dei più importanti Capoluoghi lombardi, furono secolare meta e ambiente ideale per l’arte e gli artisti, e questo specialmente durante tutto l’Ottocento. Fu proprio nella prima metà del XIX secolo che questo sentimento raggiunse l’apice proprio con un forte incoraggiamento ed il conseguente sostegno da parte della nobiltà e della facoltosa borghesia locale che aveva motivato gli artisti con appassionata ammirazione. Tale atteggiamento viene testimoniato esplicitamente con il raggiungimento ai vertici della pittura italiana del Vedutismo Romantico Lombardo capitanato da Giovanni Migliara e Giuseppe Canella. In seguito sarà proprio Angelo Inganni, sul finire degli anni Trenta, a comprendere con grande anticipo ed in modo magistrale, l’esigenza di un rinnovamento della veduta che si ponesse tuttavia in continuità con i grandi esiti del Vedutismo di inizio secolo e con l’osservazione della realtà che da oltre duecento anni era già presente nella tradizione lombarda. Di qui il progressivo accentuarsi della sua attenzione nei confronti delle peculiarità e dei costumi regionali che lo spinse frequentemente a servirsi della pittura come strumento di cronaca della vita contemporanea. Ecco perché, sul finire della terza decade dell’Ottocento, l’abbandono da parte dell’Inganni delle suggestioni romantiche dei grandi vedutisti di inizio secolo, come Migliara e Canella, per sviluppare una sua vena di cronista documentario della veduta urbana “concretamente moderna” che rappresenta la città in tutte le sue stratificazioni sociali. A questa integrazione del nostro artista, con i vari aspetti del contesto sociale culturale e politico milanese, corrisponde un importante riconoscimento intellettuale e pratico da parte di quella stessa società. Infatti, proprio a partire dagli anni Quaranta, Inganni diviene il vero e proprio mattatore del mercato lombardo e non solo. A conferma di questo grande interesse va registrato come dai più importanti esponenti della società milanese, ma anche dell’“establishment politico”, gli vengano affidate commissioni non generiche, ma rivolte proprio alla specifica illustrazione delle loro attività, come per esempio quelle militari. Uno degli esempi più rilevanti dell’ impegno del nostro pittore è certamente rappresentato dalle attestazioni di stima, amicizia e mecenatismo da parte di personaggi quali il Generale Valmoden ma soprattutto del feldmaresciallo Josef Radetzky, governatore del Lombardo-Veneto; d’altronde nei suoi dipinti l’artista riesce a chiarire inequivocabilmente la natura del soggetto rappresentato e conferisce alla scena di “vita moderna” una tale immediatezza e concretezza da evitare qualsiasi caduta in uno stanco generismo. La stessa fedeltà al dato reale, come viene attestata nella veduta urbana di Inganni, non è più intesa in stretto senso monumentale, ma in senso ambientale, identificata cioè, nelle specifiche contingenze di situazioni e costumi. E’ sufficiente l’attenta osservazione della nostra opera per rilevare un atteggiamento dell’artista estremamente incline a documentare qualsiasi avvenimento di una determinata situazione urbana. Questo significa storicizzare la veduta, superando la concezione di una resa pura e semplice del dato prospettico ambientale. È quindi scontato che si debba attribuire proprio ad Inganni il merito di aver saputo raggiungere l’eccellenza nel creare una sorta di tipologia dei luoghi che oggi vengono ancora considerati caratteristici della “Vecchia Milano”. Ancora una volta va rivelato il grande pregio stilistico della pittura di Inganni, e cioè, l’eccezionale e sapiente rigore prospettico oltre alla gamma di “sorprendenti” effetti di luce, che provocano “un vero e proprio incanto dell’occhio”. L’artista, spesso, e la nostra opera ne è testimonianza, sa magistralmente immergere nella penombra il primo piano, mentre la luce investe gli edifici di suo interesse, collocando, al centro dell’opera, particolari episodi che sfruttano in questo modo l’avvenimento al fine di “caratterizzare” la scena, la quale, però, si muove da un dato assolutamente reale, in una precisa tradizione culturale lombarda. E. Motta