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Ferraguti Arnaldo

Ferrara, 1862 - Forlì, 1925

"Nebbia"

Olio su tela, cm 180x110
Firmato in basso a destra: “Arnaldo Ferraguti”.

Bibliografia

La Nebbia, quadro di Ferraguti, in “L’Illustrazione Italiana”, a. XXIV, n.27, 4-07-1897, pp.11, 13. V. Pica, I pittori lombardi, piemontesi e liguri, in L’Arte Mondiale all’Esposizione di Venezia del 1897, Napoli 1897, p.213.

Esposizioni

II Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, 1897, Sala G.

Siamo nel 1890 e cominciano a far capolino nelle varie Esposizioni gli stupendi studi di vita milanese di Mosè Bianchi; sono brillanti momenti del quotidiano vivere cittadino, che sanno sedurre l’occhio dello spettatore e che si imprimono in modo indelebile nella sua memoria; momenti in cui vi partecipano personaggi di qualsiasi estrazione sociale, in una Milano eternamente affaccendata, fatta da monelli, garzoni, girovaghi e saltimbanchi, come pure da galanti personaggi della borghesia milanese uniti ad eleganti signore che, con i loro lunghi splendidi abiti “spulizzano” i marciapiedi del centro. E’ un ambiente che sa concedere qua e là chiari sentori artistici, dove i tramonti di fine autunno e di primo inverno, fra tinte roseoperlacee e caliginose, si indorano dolcemente, assurgendo a bellezze naturali tali da far invaghire qualsiasi pittore. Proprio come asseriva Luigi Chirtani, ancora nel 1894, e precisamente nello scritto in cui passava in rassegna l’Esposizione Triennale di Belle Arti: si tratta della cosiddetta “Nuova Scuola del Vero”, e ne indicava, quale capo indiscusso di questa corrente Mosè Bianchi, elencando, oltretutto, i più convinti seguaci: da Filippo Carcano a Giovanni Segantini, Eugenio Gignous, Francesco Filippini, Bartolomeo Bezzi, Luigi Rossi, Adolfo Feragutti Visconti e Giuseppe Mentessi; quest’ultimo divenuto giustappunto in quegli anni uno dei più apprezzati maestri in Brera, oltre che a seguitissimo mentore di quella grande stagione artistica milanese chiamata con il nome di “pittura sociale”, vista però senza l’enfasi di un aperto contrasto fra ceti sociali, mitigata dunque, attraverso una chiara visione cristiana dell’etica sociale, tanto da apparire quasi come una “dolce rassegnazione” al volere di Dio. Da qui parte la lezione di Arnaldo Ferraguti, suo concittadino di nascita e autore del capolavoro in questione, Nebbia, esposto alla Biennale di Venezia nel 1897 ed acquistato da un noto orefice milanese, il nobiluomo Pompeo Confalonieri, grande benefattore dell’ospedale Maggiore, nonché socio fondatore dell’Automobile Club di Milano. Successivamente alla sua morte, il dipinto scomparve dal mercato dell’arte, per riapparire proprio in tempi recentissimi. L’attenta analisi di questa commovente e nostalgica opera, ci riporta in un tardo pomeriggio autunnale di fine Ottocento, dove, la nebbia inizia a calare sull’affaccendato agitarsi della vita cittadina. Il primo piano ci fa trovare di fronte ad una riuscitissima scena, dove Via Alessandro Manzoni è percorsa da carrozze con cavalli, signore indaffarate e garzoni al lavoro; l’andirivieni della gente, piuttosto infreddolita, viene avvolto, con romantica delicatezza dalla nebbia, che in questo periodo, diventa una quotidiana “specialità” meneghina, proprio come il suo panettone. Ogni atteggiamento, pur rappresentando un chiaro contrasto fra la povertà del proletariato ed il benessere della borghesia, appare di assoluta naturalezza e viene descritto con vibrazioni sicure, perfettamente prodotte da Arnaldo Ferraguti in questa pagina di vita cittadina, che, oltretutto, sa rimarcare una pregevole visione dell’istante rappresentato, dovuta anche alla sua nota abilità di fotografo. Via Manzoni appare dunque come un palcoscenico dove è chiamata a recitare la vita stessa dei milanesi, ed in cui appare, ormai inarrestabile, l’ascesa della nuova borghesia industriale della città, o per meglio dire di tutto quanto il territorio lombardo. E. Motta Note particolari e curiose di Nebbia: Il traffico a sinistra, come ben possiamo notare in quest’opera, risulta per molti un’eccentrica abitudine inglese. Invece anche nell’Italia appena riunita si guidava a sinistra, anzi a volte a sinistra e a volte a destra. A Bergamo si teneva la sinistra, a Brescia la destra, in provincia di Como vigeva la sinistra ma nei circondari di Varese e Lecco prevaleva la destra. Nel centro di Milano era stato deciso di “tenere” la sinistra, mentre in periferia un cartello avvertiva di passare senza indugio a destra. L’abitudine di procedere sul ciglio sinistro della strada proveniva da un’antica usanza che si era protratta nel tempo, poichè consentiva di estrarre la spada con la mano destra, generalmente la più forte, non solo, ma proteggeva automaticamente il proprio lato sinistro del fianco, in quanto, ogni eventuale attacco non poteva che arrivare da destra. Interi eserciti furono per anni addestrati a marciare in questo modo, tanto che l’usanza si diffuse rapidamente e durò a lungo. Solo nel 1923 in tutta Italia fu ufficializzato il senso di marcia a destra, anche se si dovette attendere un buon paio d’anni prima dell’effettiva entrata in vigore della legge, in quanto dovettero essere applicate un enorme quantità di modifiche: dalle strade a tutte quante le sue dotazioni, comprese quelle cartellonistiche, oltretutto con un eccezionale dispendio di risorse. E.M.

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