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Fontana Roberto

Milano, 1849 - Milano, 1887

"In nome della rosa"

Olio su tela, cm 86x63
Firmato in alto a sinistra: “R. Fontana”.

Anche se più giovane di sette anni rispetto a Tranquillo Cremona, Roberto Fontana ha largamente condiviso con il più celebre amico le tappe maggiormente significative nella formazione e nello sviluppo della scapigliatura milanese. Infatti, come il Cremona e il Ranzoni, negli anni Sessanta, unitamente al Ripari e al Barbaglia, segue i corsi di Giuseppe Bertini presso l’Accademia Braidense. E’ con loro, negli anni Settanta, tra i più fervidi animatori di incontri e discussioni epiche presso la Famiglia Artistica, sodalizio che riuniva, praticamente al gran completo, i rappresentanti delle tendenze più innovative diffuse fra i giovani artisti operanti a Milano. L’attenta analisi del nostro felicissimo dipinto ci porta a comprendere come, a prima vista, la lezione del Bertini possa ancora emergere, specie nella descrizione minuta e puntuale dell’abbigliamento, ottenuta proprio attraverso una stesura accurata e preziosa con l’utilizzo quanto mai appropriato dell’oro zecchino al fine di arricchire la resa delle stoffe pregiate. Con ben altre cadenze l’artista affronta però la resa della figura e la sua collocazione nello spazio pittorico. Qui si affaccia con evidenza il paradigma e cioè il modello di riferimento, della pittura di Cremona, e in particolare di alcune opere realizzate nel corso del settimo decennio del secolo, col frequente privilegio della rappresentazione di figure a mezzo busto con impianti fortemente scorciati. Basti qui ricordare le due versioni dei Falconieri (1859 e 1863) della G.A.M. di Milano, il celebre Amaro calice (1863 ca.) della Galleria Ricci Oddi di Piacenza e La tortora del 1870. La scorciatura della giovinetta realizzata da Fontana sembra largamente debitrice di questi insegnamenti cremoniani. D’altra parte, il forte uso dei contrasti luministici, lo stacco netto della figura rispetto a uno sfondo indefinito ma ben distinto dalla sagoma femminile, il gusto medievaleggiante del cappello da paggio e della cappa decorata a motivi floreali, sembrano già oltrepassare i parametri della scapigliatura. Un percorso analogo, come è noto, sarà seguito da Luigi Conconi che, muovendo da presupposti cremoniani, approderà a soluzioni di originale coniugazione di un gusto molto vicino al liberty. E’ anche da ricordare la vicinanza di Roberto Fontana a Uberto Dell’Orto, che gli dedicò un ritratto, e a Pietro Bouvier. Una condizione comune unisce infatti questi tre artisti: essi guardarono con attenzione al rinnovamento, spesso polemico, invocato dall’arte scapigliata, pur senza mai aderirvi pienamente, accogliendone le istanze formali, ma conservando al tempo stesso una propria originalità individuale nell’interpretazione di queste novità. Di particolare interesse, in questa riuscitissima opera di Roberto Fontana, è l’uso scenografico della luce che scandisce magistralmente la zona d’ombra da cui esce luminosissima la figura, tanto da costringere lo spettatore ad avvicinare lo sguardo per coglierne i particolari, proprio come nella realtà, creando però, al tempo stesso, un clima di evocazione misteriosa, dove risulta particolarmente significativa la sottile resa psicologica del volto che sembra esprimere gli effetti di un emozionante ricordo, sollecitato dalle sensazioni della vista e dell’odorato di cui è oggetto la piccola rosa. L’autore dimostra con ciò il suo aggiornamento sui principi della sinestesia, riuscendo a creare un’atmosfera sognante ormai vicinissima alla sensibilità decadentistica. E. Motta

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