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Gozzi Marco

San Giovanni Bianco, BG, 1759 - Milano, 1839

"Paesaggio con armenti"

Olio su tela, cm 34x44

Provenienza

Collezione Conti Crivelli di Inverigo.

Bibliografia

F. Rea, La pittura bergamasca da MARCO GOZZI a SILVIO POMA, Ist. Grafico Litostampa, Gorle, Bergamo, 1983, pag. 12, tav. 1.

Il 26 settembre 1807 venne stipulato tra il pittore Marco Gozzi e il Vicerè Eugenio di Beauharnais un contratto che prevedeva l’impegno del pittore a produrre tre quadri di paese ad olio in cambio di un pensionato di lire 1500 annue. Il fatto che i “soggetti” fossero indicati da Sua Eccellenza il Ministro dell’Interno ci appare come indicativo della volontà amministrativa del Regno di avere a disposizione una serie di quadri illustranti le opere realizzate dal governo nel territorio lombardo. Proprio l’istanza di precisione documentaria, insita nel tipo di produzione richiesta, comportò all’artista la necessità di uscire dagli schemi del paesaggio genericamente “arcadico”, alla Zuccarelli o alla Zais, acquisiti durante la sua formazione a fine Settecento, per affrontare l’impatto con il “reale” di una precisa situazione paesaggistica. Ecco, dunque, il Gozzi adattare la propria concezione precostituita del paesaggio ad un luogo “effettivamente rilevato” dal vero. Primo documento di “paesaggio reale” è La fonderia di cannoni a Caionvico (1809), dove possiamo notare che qualsiasi intonazione arcadica viene abbandonata proprio per quell’ “accurato studio del naturale” che sancisce la nascita della nuova pittura lombarda di “esterno” in contrapposizione al paesismo accademico di tipo classico. Il nostro importante dipinto conferma la tendenza verso una graduale evoluzione naturalistica, attestata in particolar modo dalla resa della luce che tende ad essere precisa e puntuale, diversamente declinata secondo gli angoli di incidenza. Modulato e costruito dalla luce è anche l’impianto compositivo sufficientemente complesso in cui è lasciato ampio spazio a un robusto e concreto primo piano, tendenzialmente in controluce, quindi cromaticamente scuro, giocato sui verdi e sui bruni che vengono rialzati dalla vivacità luministica delle figure della pastorella e degli armenti. Originale è anche la rivisitazione del tradizionale elemento della quinta prospettica, allontanata in profondità al termine di una direttrice diagonale saliente, per concludersi negli spessori delle rocce e dell’albero in controluce, già immersi nella tersa luminosità atmosferica che invade la scena nella vasta e profonda apertura del paesaggio. La veduta digrada nel susseguirsi dei dossi verso l’ultimo profilo dei monti che delimitano l’orizzonte secondo la tradizionale scansione cromatica dai bruni del primo piano ai verdi delle zone centrali e agli azzurri delle lontananze. Al centro dell’opera, su di un pianoro dominato dalla luce solare, si evidenzia una coppia di turisti intenti ad ammirare il paesaggio che potrebbe avere una suggestione reale nei “dintorni di Inverigo”. A far da sfondo le colline ed i monti che ne graduano le distanze. In alto il cielo chiaro, di un azzurro-grigio pallido, tipicamente lombardo, conclude quel magico effetto e quell’incanto che si prova alla vista del vero. Resta infine da confermare ancora una volta la nostra profonda convinzione di un deciso anticipo del Gozzi sul paesismo austriaco Biedermeier, capitanato da Mössner e Rebell, e del suo ruolo guida nella coniugazione di gusto romantico e sensibilità naturalistica che costituirà una cifra caratteristica dell’interpretazione lombarda del paesaggio romantico. La giustapposizione della forte luce naturale e della “luce d’atmosfera”, che sfuma con ombre violette nella lontananza dei monti e dei villaggi, più evocati che descritti, ne è appunto una valida testimonianza. E. Motta

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