Bianchi Mosè
Monza, 1840 - Monza, 1904
"Piazza Sant’Eustorgio sotto la neve, Milano"
Olio su tavola, cm 31x43.5
Firmato e datato b sx:” M. Bianchi, 1888”.
Datato: 1888
Provenienza
Collezione Luigi Dell’Acqua; Collezione Mylius.
Bibliografia
Catalogo della mostra commemorativa di Mosè Bianchi, 1924, Bergamo; Catalogo della Collezione Mylius, 1929, Milano; P. Biscottini, Mosè Bianchi, Catalogo Ragionato, p.353, tav.551, 1996, Federico Motta Editore, Milano.
Esposizioni
1924, Villa Reale di Monza, Mostra commemorativa di Mosè Bianchi, N. 103; 1929, Galleria Milano, Vendita della Collezione Mylius.
Questo dipinto di piccola dimensione, ma di grande qualità stilistica, fa parte di quel gruppo di opere dedicate da Mosè Bianchi alle vistose trasformazioni introdotte a Milano dalla rivoluzione industriale. La realtà urbana, nel corso del secolo XIX, attira l’interesse degli artisti più innovativi da un punto di vista notevolmente diverso rispetto agli intenti dei pur grandissimi vedutisti settecenteschi che cantarono in modo particolare Venezia. L’approccio alle vedute milanesi, già in alcuni dipinti di Migliara, all’inizio dell’Ottocento, si propone con un atteggiamento assai più vicino alla cronaca che alla celebrazione, assumendo perciò il ruolo di una rappresentazione concreta e aggiornata della mutevole realtà di Milano, percorsa dagli importanti fermenti della rivoluzione industriale, che avrà qui la sua maggiore affermazione rispetto alle altre città italiane. La fedeltà della veduta cronachistica informerà buona parte della produzione dei più grandi artisti lombardi, compresi quelli di adozione, da Angelo Inganni, a Giuseppe e Carlo Canella, Luigi Bisi, Filippo Carcano, Giuseppe Barbaglia, Leonardo Bazzaro; dal primo Segantini fino ad Emilio Gola, per non citare che gli autori più noti. Gli scorci milanesi di Mosè Bianchi, tuttavia, appaiono probabilmente i più interessanti in questo ampio panorama, in quanto in grado di rovesciare, in modo totale l’impianto celebrativo della bellezza urbana che aveva guidato il vedutismo veneziano del ‘700, quindi nelle condizioni di cogliere perfettamente la città negli effetti “deturpanti” provocati dall’inquinamento industriale, restituendo, in modo perfetto, l’immagine di una città in rapida modernizzazione, dunque con i vantaggi e gli svantaggi che tale processo comporta. Come ha giustamente osservato Guido Marangoni, “…Mosè Bianchi usciva tutte le sere e fino a tarda ora, imbacuccato e tremante, per studiare il luccicare delle candide coltri di neve ed il riflesso delle pozzanghere sotto la luce fioca dei lampioni…” “…la sua, è una mano prodigiosa, pronta a rendere esatta e precisa la visione percepita dall’occhio anche a memoria e a distanza di tempo…”. Il pittore dimostra, attraverso questi magnifici “flash”, di saper cogliere gli irripetibili momenti della transizione verso la modernità, dove, la poesia di un passato, ormai confinata nella sfera della memoria, e un presente che si va prepotentemente affermando, riescono a coniugarsi in una sintesi in cui: la nostalgia cede il passo alla consapevolezza storica e politica. In queste opere è assente una narrazione esplicita e cittadini di diversa estrazione sociale sono rappresentati senza alcuna forzatura ideologica: proprio questa obiettività moderna lo distanzia dal pietismo popolare degli Induno. L’artista, poi, mentre resta fedele ai dati fisici dei costumi e dei luoghi, che fra l’altro consentono una loro precisa identificazione, contrappone alle linee salde del disegno architettonico pennellate mosse e vivaci intuizioni di movimento e atmosfera. Sono caratteristiche proprie di molte opere che Bianchi eseguì a Milano tra il 1885 e il 1895, sovente più efficaci nelle tavolette di rapida esecuzione che nelle composizioni di maggiori dimensioni, nelle quali l’insistenza nella rappresentazione dei dettagli talvolta tradisce la spontaneità di esecuzione. E. Motta