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Giuliano Bartolomeo

Susa, TO, 1825 - Milano, 1909

"In preghiera"

Olio su tela, cm 40x30
Firmato b. dx.: “Giuliano”, appena sotto e coperta con pittura dall’autore stesso, una seconda firma: “Giuliano B.”.

Bartolomeo Giuliano si formò all’Accademia Albertina di Torino sotto la guida di Cesare Biscarra e del lombardo Carlo Arienti e ottenne i primi riconoscimenti come pittore di figura nel clima del romanticismo storico. Fu però precocemente attento anche agli sviluppi della pittura di paesaggio in Francia, con particolare riguardo all’opera di Jules Breton (Pas-de-Calais, 1827 – Paris, 1905), che cominciò a praticare per l’ambientazione delle figure storiche nei suoi dipinti. Si trasferì a Milano nel 1860 e nel 1861 ottenne un insegnamento all’Accademia di Brera come assistente di Raffaele Casnedi. Nell’ambiente milanese fu influenzato dalla grande pittura di Francesco Hayez e sollecitato dagli importanti risultati raggiunti nel campo della pittura di genere dai fratelli Domenico e Gerolamo Induno. Fondamentali per la sua definitiva affermazione furono gli stimoli di un rinnovamento stilistico che a metà degli anni ‘60 del XIX secolo sfocerà nel cosidetto “movimento della scapigliatura milanese”. La sua lunga carriera artistica, iniziata in clima romantico, subirà successivamente un’importante evoluzione in senso naturalistico e generistico. In preghiera tratta un tema più volte affrontato dai grandi pittori scapigliati, primo fra tutti Daniele Ranzoni che nel 1868 presentava a Brera un dipinto alquanto vicino al nostro e anch’esso titolato: La preghiera. Lo stesso Giuseppe Bertini, maestro di Ranzoni, si era cimentato in tematiche del tutto similari. Sono tutte opere, comunque, postume al dipinto in questione, il quale per affinità tecnica e pittorica possiamo dire coevo all’ Addio di Ugo a Parisina eseguito da Bartolomeo Giuliano nel 1863. Sullo sfondo di uno stupendo tramonto, di manzoniana memoria, il soggetto rivela evidenti sentimenti di preghiera e speranza che in un’atmosfera risorgimentale vanno interpretati come l’esaltazione di una ferma volontà di libertà, trasferendo di conseguenza il significato del sentimento di preghiera in un alto valore di amor patrio. Come fu per il Bacio di Francesco Hayez, il successo di quest’opera, oltre che per tecnica, va dunque spiegato proprio per il significato allusivo alla liberazione della Lombardia dal dominio austriaco. La scelta di figure medioevali che adombrano problemi contemporanei è tipica del romanticismo storico per un duplice ordine di ragioni: da un lato il riferimento al passato consentiva di evadere la censura politica, dall’altro si trovava in perfetta sintonia estetica con la rivalutazione del medioevo operata dal romanticismo scapigliato. I numerosi riferimenti ai classici, non solo della pittura, ma di tutte le arti, operati proprio nella seconda metà dell’Ottocento, ci confermano la portata del messaggio affidato a questo stupendo dipinto che, magistralmente, riesce ad assumere un valore universale. L’autore, non solo permettte, ma addirittura suggerisce un’interpretazione metafisica, ideale e di conseguenza spirituale dell’opera che trova nella riproposizione dei trascendentali medioevali, e cioè il vero, il bello e il giusto, le grandi verità fortemente cercate dagli artisti. L’ambientazione della scena nell’ampio e luminoso sfondo paesistico rivela il forte interesse dell’autore per la pittura di paesaggio; mentre la resa del volto e delle vesti, intrisi di luce naturale, dichiara la sua aperta adesione all’incipiente rivolta antiaccademica dell’arte scapigliata. Nel dipinto di Giuliano tacciono gli aspetti teatrali per dare spazio ad una moderna e libera espressione del sentimento. E. Motta

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